FONTAMARA

dal romanzo di Ignazio Silone

Premiato al FESTIVAL DI RESISTENZA 2019

Casa Museo Cervi


PREMIO SILONE 2019 a Francesco Niccolini

per la riscrittura dell’opera 

Non capita spesso a teatro un racconto che ci aiuti a capire meglio la storia e le contraddizioni del nostro paese. Con un linguaggio scultoreo è invece quello che riesce al gruppo del Teatro Lanciavicchio…quasi scolpisce con un linguaggio contemporaneo di suggestioni e stacchi, ‘memorandum’ crudele di quello che il fascismo instaurò nel nostro paese. Offrendo l’energia e la fisicità degli interpreti quale proiezione di una liberazione possibile.”  

G. Capitta

adattamento e drammaturgia FRANCESCO NICCOLINI


produzione TEATRO STABILE D’ABRUZZO – TEATRO LANCIAVICCHIO

in collaborazione Centro Studi Silone, Comune Pescina, Comune Avezzano

con ANGIE CABRERA

STEFANIA EVANDRO

ALBERTO SANTUCCI

RITA SCOGNAMIGLIO

GIACOMO VALLOZZA


regia ANTONIO SILVAGNI

45 anni dalla morte di Ignazio Silone 

90 anni dalla pubblicazione di FONTAMARA

«Torno a Fontamara 35 anni dopo il mio primo viaggio.
Allora avevo 15 anni: la forza disperata dei tre testimoni protagonisti del capolavoro di Silone non mi ha mai abbandonato. Quello stile piano, colmo di dignità e al tempo stesso di umiliazione, l’ironia della scrittura e la ferocia dei potenti. I privilegi dei ricchi, la loro ingordigia, la presa in giro spietata di un mondo destinato al genocidio. Perché un genocidio è stato. Solo che allora non avevo gli strumenti per capirlo. Quando vent’anni fa ho avuto la fortuna di lavorare con Marco Paolini e Gabriele Vacis al Racconto del Vajont
uno dei capitoli più duri da studiare e al tempo stesso esempio di coraggio e forza morale, è stata la lettura dell’arringa dell’accusa, scritta dall’avvocato Sandro Canestrini, ora novantaquattrenne: ne fece un piccolo libro, un autentio pamphlet, che intitolò Vajont: genocidio di poveri. Ecco, tornando a Fontamara a distanza di tanti anni, e con molti chilometri e incontri belli e tragici sulle spalle, penso che questo romanzo capolavoro sia un altro capitolo fondamentale per chi ha deciso di raccontare quel genocidio.

Ora, insieme agli attori-cafoni come si definiscono loro stessi del Teatro Lanciavicchio e ad Antonio Silvagni, provo a portare quelle voci e quei fantasmi sul palcoscenico.»

Francesco Niccolini autore dell’adattamento teatrale

NOTE DI REGIA Antonio Silvagni

Fontamara è un romanzo spietato.
Questa assenza mi ha suscitato da sempre un certo fastdio in questo straordinario romanzo, che ho amato, che dovevo amare, raccontava della mia terra … ma qualcosa mi allontanava da Silone.
Della commozione che mi suscitavano i cafoni, non ne trovavo nemmeno un briciolo in Silone, e lo trovavo inspiegabile, anche insopportabile. Silone non lascia trasparire mai pietà per la situazione miserrima dei fontamaresi – che pure vivono in condizioni disumane vengono imbrogliati, sbeffeggiati, sfruttati, violentati, uccisi – ma l’autore era andava dritto nella sua strada narrativa, senza indugiare un momento in considerazioni sul loro dolore, in descrizioni della loro afflizione. Malgrado quello che accade, Silone non è mai indulgente con i cafoni, con i loro difetti, le loro meschinità dettate dall’ignoranza e dalla miseria.
Poi – colpevolmente in ritardo- ho capito che una delle forze del romanzo è proprio questa assenza di indulgenza da parte dell’autore, questa scelta di sradicare ogni forma di pietà dalla narrazione di una storia cosi terribile; quella spietatezza nella cronaca di fatti duri, cruenti, immorali che ci accompagna all’ ineluttabile destino di morte è il solo modo di raccontare una società che per affermarsi ha bisogno di sbeffeggiare l’ingenuità, sbeffeggiare l’ingenuità, calpestare i più deboli.
E’ proprio l’ assenza di commozione la strada che intraprende Silone per commuovere, per ‘farci muovere verso’ il punto di vista dei fontamaresi. E muovere qualcuno attraverso l’arte in un momento storico di coscienze assopite come quello che ha vissuto Silone, era un grande obiettivo.
A lui è riuscito, e riesce ancora a quasi un secolo di distanza.
Abbiamo cercato con il nostro spettacolo di essere il più possibile vicini a Silone.
Abbiamo cercato uno spettacolo asciutto, rigido, duro. Uno spettacolo senza pietà.
Senza pietà per i cafoni e la loro storia.
Senza pietà per gli attori inchiodati sul posto a dar vita a cento vite.
Senza pietà per quegli spettatori abituati a ammiccamenti e moine.
Senza pietà per i figli dei cafoni di Fontamara e le loro storie d’oggi.

NOTE DI REGIA Antonio Silvagni

si è parlato del Teatro Lanciavicchio e lo spettacolo FONTAMARA nei programmi:

RETROSCENA dall’inizio al minuto 18:24 trasmissione del 9 aprile 2019

RAINEWS 24 servizio del 19 agosto 2019

RAI RADIOTRE zazà al minuto 15:25 trasmissione del 10 marzo 2019

Michele Sciancalepore AVVENIRE

Lanciavicchio porta a teatro Fontamara e il grido degli sfruttati di ogni tempo

Grazia Felli       

Emana una forte tensione umana ed etica “Fontamara”, spettacolo del Teatro Lanciavicchio, in questi giorni in tournée nelle sale d’Abruzzo, con la regia di Antonio Silvagni. La drammaturgia porta la firma di Francesco Niccolini, coautore, con Marco Paolini e Gabriele Vacis, del “Racconto del Vajont”, con il quale condivide intenzioni di testimonianza civile e di memoria.

Il fascino dello spettacolo, visto nella rassegna “Teatro Off” di Abruzzo Circuito Spettacolo, è in un allestimento essenziale e raffinato, potente quasi della sola forza della narrazione e di una parola asciutta ed impietosa. Com’era, del resto, nelle intenzioni del regista che nello spettacolo ha racchiuso davvero l’anima del Lanciavicchio e quella vocazione originaria ad un attore “cafone”, volendo con ciò avvalorare un legame identitario d’espressione, di cultura e di territorio.

“Fontamara”, scrive Silvagni nelle note di regia, “E’ uno spettacolo senza pietà. Senza pietà per i cafoni e la loro storia. Senza pietà per gli attori inchiodati sul posto a dar vita a cento vite. Senza pietà per quegli spettatori troppo abituati a ammiccamenti e moine. Senza pietà per i figli dei cafoni di Fontamara e le loro storie d’oggi”. Ma è proprio dall’assenza di compassione che scaturisce il sentimento della partecipazione, della reazione e della rivolta.

Nella scena rituale, in un’oscurità che trasporta nella dimensione del sogno o di una visione, quattro personaggi si stagliano immoti come simulacri, assumendo presenza dai cumuli di terra che ciascuno ha dinnanzi a sé. Stanno seduti, come i vecchi nelle piazze dei nostri paesi d’un tempo. Dalla cintola si dipartono lunghe ed ampie vesti, nere e pesanti che, come radici, sembrano costringerli al suolo, tenerli avvinti a quella stessa terra che li ha generati. Un suolo che inesorabilmente tutto chiama a sé, anche le vecchie sedie fatte calare dall’alto, nella penombra, a evocare altri convenuti, altre presenze. In quel legame fatale con la terra si rivela, del resto, l’essenza dello spettacolo, un doppio della narrazione.

Sono fantasmi e “fantasmi di fantasmi” e sono evocati per testimoniare il dramma di Fontamara e dei suoi abitanti, dando voce ai contadini umiliati e ai loro oppressori e ricomponendo il quadro di una stagione di disumano accanimento dei forti sui deboli che, ben oltre il romanzo, chiama in causa la nostra storia e il nostro oggi. A dare impulso alla narrazione arriva, attraversando la platea, una giovane attrice di colore che si è formata alla scuola del Lanciavicchio. Nella finzione scenica è una discendente dei Fontamaresi ma potrebbe simboleggiare anche un loro correlativo attuale, in un richiamo delicatamente accennato, ma ben presente nelle dichiarazioni della compagnia, alla attualità di analoghe gravi forme di sfruttamento dei “cafoni” d’oggi, quasi tutti nordafricani, massicciamente impiegati nella fertile piana del Fucino.

La fanciulla veste attuali abiti di ragazzo ed assume le funzioni del narratore, o del testimone di un necessario processo alla storia in un tribunale tragico della memoria. I fantasmi pirandellianamente agognano a una presenza, a un’espressione; chiedono di narrare gli immani torti subiti, da cafoni, dediti solo alla terra, umiliati e reietti. Moltiplicando i ruoli, danno vita a una coinvolgente partitura di testimonianze che talvolta assumono la coloritura del dialetto.

I valori di memoria e testimonianza all’interno di una costruzione teatrale ineccepibile ha fruttato allo spettacolo del Lanciavicchio il Premio Cervi  al 18° Festival Teatrale di Resistenza. Coprodotto dal Teatro Stabile d’Abruzzo, in collaborazione con il Centro Studi Ignazio Silone, il Comune di Pescina e il Comune di Avezzano, ne sono interpreti Angie Cabrera, Stefania Evandro – direttrice artistica del Lanciavicchio – Alberto Santucci, Rita Scognamiglio e Giacomo Vallozza. Le musiche originali sono di Giuseppe Morgante, le luci di Corrado Rea, scenografia e costumi di Scenotecnica “Ivan Medici”.

Grazia Felli

RECENSIONI14 DICEMBRE 2022
FONTAMARA. TEATRO LANCIAVICCHIO FA RIVIVERE SILONE
BY MARIO BIANCHI


L’ADATTAMENTO DI FRANCESCO NICCOLINI PARLA DI FASCISMO A CENT’ANNI DALLA MARCIA SU ROMA, CHE SEGNÒ L’ASCESA EVERSIVA DI MUSSOLINI ALLA GUIDA DEL GOVERNO

C’è una regione, in Italia, che pare essere sempre stata dimenticata da Dio, una regione tra Nord e Sud spesso posta fuori da ogni contesto: stiamo parlando dell’Abruzzo. Nella sua parte forse ancora più dimenticata, ci siamo arrivati, nel nostro peregrinare teatrale, anni fa, per merito di una piccola e coraggiosa compagnia, Teatro Lanciavicchio, che ha la sua sede ad Avezzano, in quella zona chiamata Marsica, dove un grande terremoto nel 2015 distrusse tutto il paese.
La compagnia, in coproduzione con il Teatro Stabile dell’Abruzzo, ha deciso – per onorare teatralmente la propria terra – di mettere in scena “Fontamara”, che proprio lì è ambientato. E lo spettacolo, nella riduzione scenica fatta da Francesco Niccolini, è passato da poco al Teatro Oscar di Milano.
Il romanzo di Ignazio Silone fu pubblicato dapprima in Svizzera, nel 1933, in lingua tedesca, e venne reso disponibile per la prima volta in Italia nel 1945 – e ciò la dice già lunga.
Fontamara è un paese immaginario, un posto antico ed oscuro di poveri contadini, a mezza costa tra la collina e la montagna, a nord del lago del Fùcino, un lago che ora non c’è più, ma nell’epoca in cui si svolge la nostra storia, assai reale.
Dal 1º giugno 1929, nell’immaginario paese di Fontamara, vicino ad Avezzano, popolato da povera gente, dai cafoni (termine con cui si indicano i contadini analfabeti del paese), l’elettricità viene tagliata perché non si riescono a pagare le bollette. Per di più, non sapendo leggere e pensando di fare una buona cosa, i cafoni firmano una carta con cui danno l’autorizzazione a togliere loro l’acqua per l’irrigazione dei campi, per indirizzarla verso i possedimenti di un imprenditore, don Carlo Magna, legato al regime che da poco si sta impadronendo dell’Italia, e lì rappresentato dall’Impresario, il nuovo Podestà.
Il regime intanto si fa sentire subito, attraverso una violenta incursione degli squadristi fascisti, che violentano le donne e schedano gli uomini.

In scena cinque attori, che passano da un personaggio all’altro: Angie Cabrera, Stefania Evandro, Alberto Santucci, Rita Sconamiglio e Giacomo Vallozza, vestiti di nero, su semplicissime sedie addossate a cumuli di terra, ricchezza e schiavitù dei cafoni, ci fanno rivivere, simili a fantasmi, quel paese e quelle storie.
“A Fontamara le ingiustizie più crudeli sono così antiche che sembrano naturali, come la pioggia: immutabili, come una specie di ergastolo, saldato in modo circolare alla vita di tutti noialtri: prima viene la semina, poi la sarchiatura, la potatura, la mietitura e la vendemmia. Quindi la semina, la sarchiatura, la potatura, la mietitura e la vendemmia, di nuovo…”.
E’ attraverso le parole del figlio di Giuvà e Matalè (non per niente interpretata da Angie Cabrera, attrice originaria della Repubblica Dominicana, emigrata come lo fu Silone) che parte il racconto: a lui è affidato in qualche modo il futuro, ed è per merito suo che escono dalla memoria le figure di un paese martoriato, dimenticato, ma ben presente con le sue ferite.
Don Circostanza (ogni nome ovviamente ha il suo perché) dovrebbe difendere i suoi concittadini ma in realtà briga contro di loro, il Cavalier Pelino, Don Baldissera, lo scarparo, il corrotto curato don Abbacchio, sempre in combutta con i ricchi, Marietta Sorcanera, Scarpone, Michele Zompa, Damiano, Teofilo, il sacrestano della chiesa di Fontamara che morirà suicida: ecco uscire dalla memoria la bellissima Elvira, la futura moglie di Berardo Viola, il vero eroe ma anche la vittima sacrificale di questa storia, l’uomo più forte e robusto di Fontamara che tenta, sempre tradito, di ottenere un pezzo di terra e che avrà il coraggio di fuggire da quella patria ingrata.
Morirà il nostro eroe, dopo essersi creato una coscienza politica, mentre i fontamaresi fonderanno il “Che fare?”, un giornale in cui – per mezzo del suo esempio – finalmente potranno denunciare i soprusi subìti, anche se i fascisti non si daranno per vinti e reprimeranno tutto, mandando una squadraccia a Fontamara, che farà strage di abitanti.
Ma il figlio di Giuvà e Matalè, che era andato via con Berardo, riuscirà a salvarsi, fuggendo all’estero e raccontando questa storia. Sarà lui a testimoniare tutto quello che è accaduto.
La regia di Antonio Silvagni crea una sorta di cerimonia sacrale laica, che fa uscire i personaggi dal buio rendendoceli vivi. E’ infatti il contrappunto delle luci di Corrado Rea che, illuminando di volta in volta i cinque attori in scena, crea una vera e propria sinfonia di corpi e voci, a volte impastate con il dialetto locale, voci che rendono vivide e presenti le fattezze di questa vera e propria tragedia sociale e civile, che in questo modo diventa una sorta di riscatto per una terra sempre ferita, ma anche monito affinché certi eventi non si ripetano.

FONTAMARA
Dal romanzo di Ignazio Silone
Adattamento e drammaturgia Francesco Niccolini
Una produzione Teatro Stabile D’abruzzo – Teatro Lanciavicchio
Con Angie Cabrera, Stefania Evandro, Alberto Santucci, Rita Scognamiglio, Giacomo Vallozza
Disegno Luci Corrado Rea
Musiche originali Giuseppe Morgante
Documentazione video Francesco Ciavaglioli
Sartoria Sorelle Marcelli
Scenografia costumi scenotecnica ‘Ivan Medici’
Regia Antonio Silvagni

4 stelle su 5
 Visto a Milano, deSidera Teatro Oscar, il 27 novembre 2022